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Il mio Sito di fotografie Naturalistiche
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Cervi della Mesola (Cervus Hippelaphus elaphus) |
Programma nazionale per la conservazione del CERVO della MESOLA
Le nozioni qui sotto riportate sono tratte da materiale informativo distribuito dal Corpo Forestale dello Stato
Cervo Nobile Italico
La storia
Verso la fine dell’Alto Medioevo, il cervo era ancora diffuso in quasi tutta la penisola Italiana, per la sostanziale continuità della copertura boscosa tra Alpi, Pianura Padana e Appennini. Intorno al XIII secolo, in coincidenza con una fase climatica calda, su tutte le coste dell’Adriatico Settentrionale si diffusero boschi sub-mediterranei di leccio, presto colonizzati dal cervo. Nel tardo Medioevo e nel Rinascimento, il progressivo disbosco di vaste aree planiziali interne e le persecuzioni dirette influirono pesantemente su distribuzione e consistenza della specie, che finì per avere areali discontinui e popolazioni relitte.
Verso la fine del XVI secolo il cervo era pressoché scomparso da tutta la Pianura Padana interna e continuava a sopravvivere in quattro tratti boscosi costieri tra Cervia e il delta del Po: le Pinete Ravennati, il Bosco Eliceo presso l’abitato di San Giuseppe, il Bosco della Prepositura Pomposiana (l’attuale Bosco della Mesola) e il Bosco del Castello estense di Mesola.
Il duca Alfonso II d’Este aveva fatto costruire, tra il 1578 e il 1583, un castello presso la foce del Po e fece circondare un migliaio di ettari di bosco adiacenti al castello e in direzione del mare con una cinta muraria di una dozzina di chilometri. Tra il 1583 e il 1597, il duca usò passare parte dell’inverno con la corte nel castello e presiedere a battute di caccia al cervo e al daino. Nel 1598, i cervi presso il castello di Mesola vennero tutti abbattuti. Il bosco fu smantellato e sostituito con colture agrarie. Il Bosco Eliceo insieme ai suoi cervi fu abbattuto nel 1675; i cervi delle Pinete Ravennati scomparvero all’inizio del XVIII secolo.
Il Bosco della Prepositura Pomposiana fu sicuramente luogo di cacce da parte del Preposito stesso. Il cosiddetto Taglio di Porto Viro del 1604, cioè una grande opera idraulica con deviazione del corso di un ramo del fiume Po, voluta dalla confinante Repubblica di Venezia per salvare dal progressivo insabbiamento la laguna veneta, portò alla crisi dell’intero sistema di bonifica degli Estensi e alla conseguente formazione di vaste aree allagate (“valli”) in tutta la zona deltizia. Le valli malariche e il mare finirono per diventare una fascia di parziale protezione per ciò che restava dell’antica foresta e dei suoi cervi.
Dal 1758 al 1784 il Gran Bosco fu di proprietà della casa d’Austria per poi passare allo Stato Pontificio che, nel 1815, lo cedette all’Istituto di Santo Spirito di Roma. Per un secolo, il bosco fu sottoposto a pesanti tagli a cicli ravvicinati, a intenso pascolo bovino e ovino e ad una elevata pressione di caccia. Nel 1919, esso fu acquistato dalla Società delle Bonifiche Ferraresi e gestito come riserva di caccia fino alla Seconda Guerra Mondiale. Agli inizi del XX secolo, il nucleo di cervi della Mesola rappresentava l’unica popolazione autoctona superstite della Penisola. Gli unici altri nuclei presenti erano quello della Mandria, presso Venaria Reale (Torino), e quello del Casentino (Appennino Tosco-Romagnolo): il primo era stato ibridato con il wapiti e il secondo era stato fondato intorno al 1840 con esemplari centroeuropei. L’amministratore del Tenimento della Mesola Costantini (1907) sottolineò come, a memoria d’uomo, non esistevano notizie di importazioni di cervi. Nel 1911, l’autorevole zoologo italiano A. Ghigi, in occasione dell’Esposizione Internazionale della Caccia di Vienna, curò un’importante inchiesta sulla distribuzione e lo status delle principali specie di Mammiferi in Italia, impresa del tutto nuova per la nazione, e per primo mise in risalto l’autoctonia del cervo della Mesola. Il nucleo rischiò di estinguersi nell’ultima fase della Seconda Guerra Mondiale e nel primo Dopoguerra: il bosco subì tagli molto gravi e tutti i daini e gran parte dei cervi furono eliminati. Nel 1954, il Gran Bosco della Mesola fu acquistato dal Corpo Forestale dello Stato che si impegnò fin da subito in una vasta opera di ricostruzione selvicolturale.
Palco di Cervo della Mesola |
Questo nucleo di cervi è caratterizzato da dimensioni corporee modeste, sia per quanto riguarda il peso, sia per quanto riguarda le misure lineari. I maschi adulti pesano in media 110 kg e le femmine adulte 74 kg, contro medie centroeuropee rispettivamente di 160-200 kg e di 90-110 kg. Le misure lineari principali (lunghezza testa-tronco, altezza al garrese, circonferenza toracica e lunghezza del garretto) risultano dell’8-15% inferiori rispetto ad altre popolazioni europee. Negli individui adulti, il dimorfismo dimensionale tra i sessi è piuttosto ridotto: i maschi pesano in media il 40-50% in più rispetto alle femmine, contro una norma del 70% circa. Nei piccoli di 6-10 mesi non sussistono differenze significative di peso tra i due sessi, mentre di norma già alla nascita i maschi dovrebbero pesare in media il 10% in più delle femmine. Lo stesso accrescimento corporeo è rallentato: i maschi di un anno e mezzo raggiungono solo il 44% del peso medio degli adulti e le femmine della stessa età solo il 65% circa delle adulte. I maschi raggiungono le dimensioni finali non prima di 10 anni, mentre, di norma, questo avviene a 7-8 anni.
La statura dei cervi della Mesola è proporzionalmente minore rispetto ad altre popolazioni di cervo rosso: un leggero fenomeno di accorciamento degli arti porta l’altezza al garrese a rappresentare in media il 58% della lunghezza testa-tronco, contro una norma del 63%. Infine, in entrambi i sessi, il mantello estivo possiede una leggera ma ben visibile maculatura bianca diffusa soprattutto nell’area delle cosce.
Le differenze tra i cervi della Mesola e gli altri cervi europei si fanno ancora più marcate e si esaminano i palchi. Questi risultano avere dimensioni decisamente più modeste e un piano di costruzione molto semplificato rispetto alla struttura tipica della specie. Tra gli adulti prevalgono i palchi con sei punte totali, tre per stanga (oculare, mediano e punta terminale), mentre nel cervo rosso il tipico palco degli adulti è costituito da due stanghe con 12 ramificazioni totali, 6 per stanga. Nelle stanghe di cervo della Mesola, quasi sempre mancano due tratti morfologici peculiari del cervo rosso: l’ago (la seconda punta basale) e la corona terminale: entrambe le caratteristiche sono rimaste del tutto assenti tra il 1957 e il 1997, per poi ricomparire solo in rari casi. Anche nello sviluppo dei palchi, dalla fase giovanile a quella adulta, si osservano forti ritardi, con porzioni significative di giovani di un anno e alcuni subadulti ancora privi di un vero primo palco, con semplici steli o con steli sormontati da bottoni ossei. Tra gli adulti, i palchi a struttura più complessa sono osservabili spesso non prima dei 10 anni.
Adattamento all’ambiente
Dimensioni corporee modeste, dimorfismo sessuale ridotto e piano di costruzione del palco semplificato sono caratteristiche morfologiche tipiche di popolazioni di cervo adattate ad ambienti poco produttivi, i cosiddetti “ecotipi rustici”, popolazioni costituite da animali particolarmente frugali, selezionati nel tempo per resistere a condizioni ambientali difficili, con risorse trofiche di scarsa quantità e qualità (p.es. i cervi della Sardegna, del sud della Spagna, del Nord Africa, o anche delle brughiere delle Highlands scozzesi). Si tratta di casi assimilabili ai “fenotipi di mantenimento”, ovvero fenotipi poco esigenti, di taglia ridotta che tendono oltretutto ad investire meno energie in caratteri come il palco. Quello della Mesola è stato definito come un “cervo nano 98con caratteristiche pedomorfiche”, cioè con adulti maschi dai tratti apparentemente giovanili, scarso sviluppo della criniera, palco a struttura poco ramificata. Nel caso specifico della Mesola, i cervi si adattarono a vivere in ambienti decisamente scarsamente produttivi, finendo per selezionare esemplari di piccola taglia caratterizzati da palchi più modesti e con rendimenti riproduttivi più bassi, migliori competitori in condizioni di scarsità alimentare.
Maschi di Cervo Italico o della Mesola |
Dalle analisi genetiche è scaturito un dato molto importante: l’unicità genetica del cervo della Mesola. Il confronto con altre popolazioni di cervo rosso in Europa e con la sottospecie sarda Cervus elaphus corsicanus, effettuato utilizzando sia marker mitocondriali che nucleari, ha messo in evidenza che il cervo della Mesola è caratterizzato da un genotipo mitocondriale unico, dalla sequenza significativamente diversa, che lo differenzia sia dalle altre popolazioni europee che dal C. e. corsicanus. L’identificazione di caratteristiche genetiche distintive rappresenta un risultato importante, a conferma della singolarità e del valore di una entità faunistica di alto significato biologico e culturale, quale il cervo della Mesola.
La mancata possibilità di una omeostasi demografica a fronte di eventuali drastiche variazioni ambientali è sicuramente una delle minacce più temibili per la sopravvivenza del cervo della Mesola nel breve periodo.
Tuttavia, in una prospettiva di sopravvivenza della popolazione nel lungo periodo, la minaccia costituita dalla scarsa variabilità genetica, associata alla permanenza in isolamento e a basse densità per un lungo periodo, è certamente altrettanto incombente. E’ solo attingendo dal proprio reservoir genetico, infatti, che una popolazione è in grado di affrontare le variazioni delle condizioni ambientali. Se le risorse genetiche sono impoverite, le capacità di risposta all’imprevedibilità ambientale si riducono sensibilmente.
La limitata variabilità genetica espone inoltre una popolazione ai rischi di un elevato tasso di inincrocio (inbreeding) e all’espressione di tutta quella serie di manifestazioni fenotipiche riconducibili ad una riduzione dei caratteri di fitness, che sono noti complessivamente come “depressione da inbreeding”. Il problema della depressione da inbreeding è stato ampiamente evidenziato in molte specie, compreso il cervo, per il quale è stato documentato nel caso di popolazioni ristrette, isolate e altamente inincrociate.
La consanguineità è dunque un fenomeno da temere nel caso del cervo della Mesola, poiché può avere un considerevole impatto sulla sopravvivenza futura di una popolazione vitale. Apposite stime hanno suggerito che una popolazione con la dimensione effettiva di circa 15 riproduttori, come quella calcolata per il cervo della Mesola, e con il livello di variabilità genetica osservato, subisce, nel corso delle generazioni, un aumento di inbreeding tre volte superiore alla soglia massima ritenuta accettabile affinché la selezione naturale sia in grado di controbilanciare la tendenza degli alleli recessivi deleteri a fissarsi. Questo determina una perdita di variabilità genetica di circa il 30% dopo dieci generazioni, un periodo corrispondente a soli 80 anni. Tenendo conto dell’influenza di fattori imprevedibili sulla dimensione effettiva della popolazione nel tempo, come la variazione del tasso di natalità e del successo riproduttivo, la perdita di variabilità genetica potrebbe essere anche più severa.
Bosco della Mesola- Cervo, il suo abitante più prezioso |
Per salvaguardare questa importante popolazione, il Corpo Forestale dello Stato – Ufficio territoriale per la Biodiversità di Punta Marina (RA), coordina il Programma di conservazione del cervo della Mesola per conto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, con la collaborazione dell’Università di Siena, dell’ISPRA e dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana. Il Programma suggerisce le misure di conservazione ed individua gli Enti e i soggetti interessati alle misure da adottare. La sopravvivenza di questo cervo è stata ed è compromessa da una serie di minacce. La presenza di un elevato numero di daini riduce la qualità dell’habitat e la quantità di cibo disponibile per il cervo. Inoltre, il nucleo è caratterizzato da una variabilità genetica estremamente ridotta e da un elevato tasso di inincrocio, oltre che da una produttività molto bassa. Infine, sono elevati i rischi collegati all’estrema esiguità dell’areale di distribuzione (vulnerabilità a eventi catastrofici, malattie, ecc.). Interventi svolti in passato per ridurre numericamente il daino e migliorare la qualità dell’habitat per il cervo hanno raggiunto risultati positivi (incremento di abbondanza e produttività), ma ulteriori sforzi sono necessari.
Con il Programma sono state individuate una serie di azioni da compiere per favorire la conservazione del cervo della Mesola. In sostanza, (1) raccolta e organizzazione delle informazioni disponibili su questo taxon, per stendere un rapporto su status e azioni di conservazione; (2) raccolta di dati a carattere genetico, biometrico e sanitario, per costituire apposite banche dati e un registro genealogico (attraverso la cattura e marcatura di una quantità significativa di individui); (3) incremento del contenimento del daino, per ampliare progressivamente i settori della Riserva a disposizione del solo cervo; (4) realizzazione di miglioramenti ambientali nelle aree prative e boscose liberate dal daino, con interventi volti a incrementare l’offerta trofica per il cervo; (5) costituzione di nuclei alternativi a quello della Mesola, attraverso l’immissione di 20-40 individui in 1-2 aree.
Si procederà così, dopo aver individuato gli individui geneticamente più adatti (attraverso un registro genealogico), definito protocollo standard per le operazioni di traslocazione, e individuato 1-2 aree idonee all’immissione di cervi della Mesola (con caratteristiche ambientali simili al Bosco della Mesola, prive di daini, lontane da aree di presenza di altri cervi rossi). I fondatori andranno monitorati attraverso radiotelemetria satellitare. Sarà inoltre definita una strategia per mantenere la variabilità genetica, attraverso lo scambio di individui tra i nuclei. Infine, sono previste iniziative di educazione ambientale e divulgazione, sia alla Mesola che nei siti di rilascio, per diffondere le conoscenze sulle peculiarità del cervo della Mesola e sui contenuti del Programma, e per favorire il consenso sulle iniziative proposte.
Il Boscone della Mesola parte prima
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Buona Visione, Orso Tibetano
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